Dalla cultura della proprietà alla cultura dell’uso

Come il valore delle cose si stia progressivamente spostando dalla componente del possesso (avere) al semplice poterne disporre quando occorre (usare). Da una vita stanziale al nuovo nomadismo.


Il valore del possesso delle cose si può far risalire all’istituzione della proprietà privata, ovvero a molto tempo addietro. Secondo Engels, ne troviamo traccia già nella Genesi, con l’identificazione della proprietà privata degli armenti. La proprietà privata e il matrimonio sanciscono i passaggio da una società proto-comunista (in cui la ricchezza era nelle mani della gens) a quella che è la società come la conosciamo oggi. Nel tempo, il valore del possesso si è radicato come un principio nella nostra cultura, tanto da assumere maggiore rilevanza la possiblità di possedere qualcosa rispetto al farne uso.

La maggiore circolazione dei beni, delle persone e dei capitali, oggi ha ridato impulso a una vita nomade. Come ai tempi dei cacciatori e raccoglitori le persone si spostavano seguendo le risorse alimentari, oggi le persone si spostano seguendo le risorse economiche e tecnologiche. Viaggiare non è più un problema economico con le tariffe low cost e ovunque vai, sei comunque connesso in modo digitale alla tua rete sociale. Ci si sposta alla ricerca di un lavoro migliore, di nuove possibilità, di contenuti esperienziali da consumare esattamente come i cacciatori seguivano i movimenti degli animali. Già nel 2001 Arianna Dagnino ben descriveva il fenomeno dei nuovi nomadi, nella loro componente tecnologica e pionieristica.

Per un nomade il possesso delle cose è un intralcio: ha bisogno di disporre di beni (più o meno tecnologici) in qualunque luogo e momento, ma non è interessato alla proprietà. Sarebbe un ostacolo alla sua esigenza di spostarsi spesso, sia fisicamente da una città a un’altra, sia professionalmente da un lavoro a un altro, sia ancora socialmente da una sfera di contatti a un’altra. Inizia a diffondersi la cultura del noleggio dell’auto (o del car sharing), dell’affitto di computer e del telefono, degli strumenti di lavoro, degli spazi e così via. Accentuata dalla veloce svalutazione delle cose (conseguenza di una politica del consumo che preme per una riduzione della vita degli oggetti), la percezione del possesso tende a perdere di valore. Solo la casa rimane nell’ideale del possesso come un bene di valore perché appare l’unico bene non soggetto alla svalutazione (anche se l’attuale crisi finanziaria sta velocemente mettendo in dubbio anche quest’ultimo caposaldo). L’automobile dimezza il suo valore nei primi tre anni di vita, un computer diventa obsoleto dopo due anni, la vita media di un telefono cellulare non raggiunge i due anni. Diventa chiaro come non sia più conveniente possedere questi beni, quanto poterne disporre nel momento più opportuno.

Ulteriore elemento di svolta è l’eccessiva regolamentazione del possesso: il proprietario di un’auto deve adempiere a una serie di obblighi periodici (assicurazione, bollo, revisione, manutenzione, tagliandi e così via) che consumano tempo e risorse. Ci cominciamo a domandare se sia l’auto al nostro servizio o siamo noi al servizio dell’auto. Retaggio di un sistema statale che vede ancora nel possesso il massimo valore (e come tale tende a tassarlo il più possibile) questo processo non potrà che velocizzare il passaggio verso la cultura dell’uso.

Altro elemento che favorisce l’oblio verso la cultura del possesso è il diffondersi dei beni digitali. Musica, film,fotografie, libri: la quantità di opere che ormai fruiamo in modo digitale è senza limiti. Possedere una canzone non ha più senso se possiamo ascoltarla quando vogliamo attraverso i siti di social music come deezer o last.fm. In realtà “possedere” un brano musicale non ha mai avuto senso nemmeno in passato, motivo per cui tutta la normativa sul diritto d’autore ha sempre incontrato innumerevoli difficoltà di accettazione e attuazione.

Il risultato di questo processo è un nuovo modello sociale fatto da grandi “latifondisti”, proprietari di stabili, parchi macchine, case discografiche e così via, che realizzaranno un modello di business fondato sull’affitto delle loro proprietà. Nelle grandi città assistiamo già a un processo in cui interi palazzi vengono acquistati da un unico proprietario per affittarne gli appartamenti, un modello che era in voga parecchi anni fa e che ora sta ritornando proprio in virtù delle considerazioni espresse sopra. Dall’altro lato ci saranno schiere di nomadi tecnologici che pagheranno i grandi proprietari per poter fare uso dei beni fisici (casa, auto) o digitali (connessione, contenuti) a loro piacimento, dove e come si trovano in quel momento (“anywhere, anytime“).

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