Boicottaggio o libertà d’acquisto?

Nelle democrazie moderne la libertà si esercita non solo con il diritto di voto ma anche come libertà d’acquisto. Siamo consumatori prima ancora che cittadini, per cui è nel carrello della spesa che facciamo le nostre scelte politiche più importanti. È sbagliato e negativo definire questa libertà come boicottaggio nei confronti di qualcuno: si tratta del libero esercizio di una scelta, come se un voto al partito di destra dovesse essere definito boicottaggio della sinistra.

Compiamo una scelta nei confronti di ogni acquisto e non sempre la qualità e il prezzo del prodotto sono gli unici fattori di decisione. Per esempio, da quando ho visto il proprietario di un ristorante a milano chiamato Brodo di Giuggiole di Corso Garibaldi parcheggiare il suo Hummer nel posto riservato agli invalidi (pur non avendone diritto), ho deciso di non entrare mai più in quel ristorante. Non lo chiamerei boicottaggio: semplicemente scelgo un altro dei moltissimi locali a Milano, dove i proprietari hanno un comportamento, almeno in base alle informazioni in mio possesso, più etico.

Qui entriamo nel punto più delicato, ovvero l’informazione. Una scelta è veramente libera solo quando è una scelta informata. E dal momento che le scelte di acquisto sono quelle più bersagliate da informazione parziale (ovvero l’informazione pubblicitaria) diventa cruciale il lavoro di ricerca delle fonti alternative. Non possiamo decidere dei nostri acquisti esclusivamente sulla base delle informazioni pubblicitarie, esattamente come non decidamo a chi dare il nostro voto politico esclusivamente sulla base dei comizi elettorali. O almeno così dovrebbe essere: cerchiamo informazioni alternative, per esempio quali sono le scelte che quel politico ha fatto in passato, le sue convinzioni al di fuori della propaganda elettorale e così via.

Scelta del prodotto
Esistono casi in cui abbiamo bisogno di un prodotto specifico, per cui non abbiamo scelta, ma nella maggior parte dei casi possiamo scegliere tra prodotti alternativi. Per esempio chi sostiene un’alimentazione sana sceglierà frutta e verdura di stagione perché probabilmente non sono coltivate in serra e quindi hanno maggiore contenuto vitaminico; chi vuole prendere posizione a favore dell’ambiente eviterà prodotti esotici che devono attraversare continenti con un elevato impatto ambientale prima di arrivare sulla nostra tavola. E ancora, chi sostiene i diritti degli animali si assicurerà di acquistare capi d’abbigliamento in finta pelle o pellicce ecologiche.

Scelta del brand
In altri casi non è il prodotto ad avere aspetti negativi, quanto la marca. Chi sostiene i diritti delle popolazioni africane probabilmente avrà scelto di non acquistare alcun prodotto Nestlè. Chi ritiene che lo sfruttamento del lavoro in america centrale abbia raggiunto livelli inaccettabili non avrà sulla sua tavola banane Chiquita. I pacifisti, inoltre, non sosterranno il mercato delle armi comprando prodotti Barilla. Esistono molte fonti di informazione di questo tipo, non sempre completamente attendibili. Per un brand guadagnarsi una cattiva reputazione è questione di un’attimo, recuperare il buon nome (o addirittura smentire false voci negative) spesso invece richiede anni di lavoro.

Scelta del paese produttore
Esistono paesi nel mondo che consideriamo stati canaglia? O altri paesi di cui non condividiamo le scelte di politica estera? Altri ancora che applicano la pena di morte e questo va contro i nostri principi? Non c’è nulla di male nel scegliere di non finanziare tali governi. Chi ritiene che i diritti civili in Cina siano costantemente violati dovrà evitare (per quanto possibile) tutti i prodotti “Made in China”. Chi vorrebbe che anche Israele rispettasse le risoluzioni dell’ONU come la maggior parte degli stati del cosiddetto “primo mondo” potrebbe iniziare a evitare i pompelmi Jaffa e il caffè Lavazza.

La catena del valore
Quando la catena del valore diventa troppo lunga, come è possibile accedere a queste fonti di informazione? Chi può dirci se il fornitore di energia elettrica scelto acquisti da centrali nucleari francesi, le quali acquistano a basso prezzo combustibile fissile dal Niger, il tutto senza rispettare le norme di sicurezza di base contro l’inquinamento da radiazioni? Praticamente è impossibile per il semplice cittadino risalire a tutta questa catena di informazioni. Non ha il tempo né le risorse per risalire a tali informazioni e il risultato è che si dovrà fidare di qualcun altro. In questo caso c’è una buona e una cattiva notizia: quella buona è che abbiamo qualcuno che raccoglie queste informazioni per noi, quella cattiva è che questa categoria di persone stanno scomparendo.

Giornalismo investigativo

Il reporter, il giornalista impegnato in indagini di informazione come si facevano una volta, di quelle che richiedono settimane di lavoro e lunghissime ricerche prima di essere pubblicate, sta scomparendo. La stampa è in crisi, con le vendite e gli introiti pubblicitari in picchiata. La radio si appiattisce in un intrattenimento sanremese. Infine la televisione, che apparentemente gode di buona salute, non vede di buon occhio giornalisti che spesso rischiano di mettere in cattiva luce i principali sponsor. Internet? Non ha ancora i numeri per sostenere grossi investimenti come un servizio di questo tipo. Internet vuole contenuti brevi e veloci, a basso costo. Indagini approfondite avrebbero costi inaccessibili per il modello di business online interamente finanziato dagli introiti pubblicitari.
E allora che cosa possiamo fare? Ancora una volta una scelta d’acquisto. Scegliamo di acquistare i contenuti giornalistici di valore. Diamo una mano in termini di audience ai servizi, come per esempio Report, che migliorano la nostra conoscenza del mercato. Dobbiamo scegliere le fonti di informazione come se fossero prodotti, boicottando quelle parziali o inutili e privilegiando le fonti ben documentate, complete e – se possibile – imparziali.

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