Il cane sognatore

Come tutte le sere, Ziko si era addormentato su divano. E stava sognando. Solo che Ziko non era un cane normale. Tutti i cani sognano: sognano di correre, di trovare un osso di brontosauro, di scavare una buca gigantesca. E quando sognano a volte muovono le zampe come per correre, la bocca come per abbaiare, la coda perché sono felici.

Ziko, diversamente dagli altri cani, faceva sogni più complicati. Quella sera sognava di essere in viaggio. Era un viaggio molto lungo, faticoso, ma aveva deciso di partire per scoprire il mondo. Voleva vedere di persona, anzi, di cane, tutti quei posti meravigliosi di cui parlava sempre la televisione. Si era preparato nei giorni prima, mettendo da parte ogni giorno qualche biscottino, un osso, un pezzo di pane. La frutta e la verdura aveva deciso che sarebbe stata d’impiccio e nel suo fagotto non c’era abbastanza spazio.

Poi, dopo aver salutato amici, padroni di casa e i vicini, era partito. Cammina e zampetta, corri e annusa, dopo un po’ era arrivato alla fermata dell’autobus. “Mica me la voglio fare di corsa fino dall’altra parte del mondo”, pensò. “L’autobus è più comodo e quei pazzi in auto non potranno fare a gara per tirarmi sotto”. L’autista dell’autobus lo accolse con un gran sorriso: “vedo dal tuo fagotto che stai partendo per un lungo viaggio” gli disse. “Accomodati, puoi arrotolarti sui sedili in fondo”. E così Ziko si diresse verso la coda dell’autobus, passando a fianco a una vecchina che lo squadrò dall’alto in basso, di una coppia intenta a litigare e di un gigantesco omone grassissimo addormentato.

I sedili in fondo non erano male, soprattutto la vista dal vetro posteriore: si poteva vedere la strada percorsa, con gli alberi che correvano via a tutta velocità, le persone, le case tutto il mondo che passava. “Sembra di essere in televisione”, pensò. Un uomo si era fermato a guardarlo, con una faccia sorpresa, quasi che fosse strano vedere un cane in viaggio in autobus con il suo fagotto. Lo aveva guardato solo per un istante perché poi una donna lo aveva preso per un braccio e trascinato via di forza, verso una casa.

Dopo aver visto passare centinaia di strade diverse, migliaia di case, e un numero di alberi superiore a tutti quelli che aveva mai visto in vita sua, Ziko sentì l’autista dell’autobus chiamare: “ehi cagnolino, siamo arrivati alla tua fermata: tutti i cani in viaggio come te si fermano qui”. “Ottimo” -pensò Ziko – “avevo giusto bisogno di sgranchirmi le zampe e fare un bisognino”. E così scese alla fermata, seguito dalla vecchina malmostosa e dalla coppia litigiosa. Il grassissimo era rimasto sull’autobus, forse addormentato.

Dopo aver trovato un albero comodo per fare pipì, Ziko si avviò in esplorazione di questo nuovo mondo. Si trovava in un paese nuovo, ovviamente, però c’era qualcosa di famigliare. Anche qui avevano la brutta abitudine di ricoprire la terra con l’asfalto nero: non si capiva perché, dato che d’estate ci si scottava le zampe e d’inverno era freddo come il cemento. Anche in questo nuovo paese la gente si muoveva in automobile, e sembrava avere particolarmente fretta: macchine che andavano e venivano, si fermavano rapidamente per vomitare fuori una persona e ripartivano. Forse stava per succedere qualcosa di importante se tutti correvano in quel modo. E decise di andare in centro al paese per chiedere maggiori informazioni.

Ma più si avvicinava al centro e più il paesaggio gi sembrava familiare. Le case avevano lo stesso colore di quelle che si trovavano vicino a casa sua. Gli alberi lo stesso odore. Solo le persone sembravano avere volti diversi, ma si comportavano comunque allo stesso modo. Chi si avvicinava e gli strapazzava le orecchie in segno d’affetto (fastidioso affetto), chi lo guardava storcendo la bocca e si spostava dall’altra parte della strada, chi non si accorgeva nemmeno di lui e quasi gli camminava sopra.

“Certo che ho fatto così tanta strada”, pensò, “e alla fine mi trovo in un paese che è uguale al mio. Stessi odori, stesse persone, solo che qui vanno ancora più di fretta”. E mentre inizia a sentire nostalgia di casa sua, una mano gli accarezzò la testa e una voce disse “Ziko, sveglia”. E Ziko si svegliò.

Alberto Mari
12 novembre 2006
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